Diritto civile
Persone e Famiglia
07 | 10 | 2021
La Corte EDU condanna l’Italia per la carenza di mezzi atti a consentire il mantenimento di un legame con i figli in caso di mancanza di cooperazione tra genitori separati
Denise Campagna
La prima sezione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo
(CEDU), con sentenza del 7 ottobre 2021, ha condannato l’Italia per una violazione
dell’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo che tutela il
diritto al rispetto della vita privata e familiare.
Il ricorrente non ha potuto esercitare pienamente il suo diritto
di poter incontrare la figlia per ben dodici anni, nonostante l’esistenza di
diverse decisioni giudiziali che stabilivano le modalità d’incontro tra i due. L’uomo
ha sostenuto che le autorità nazionali non hanno adottato le misure adeguate
che gli permettessero di mantenere un legame con sua figlia: ciò ha permesso
alla madre della bambina di metterla contro di lui. Inoltre, è stata denunciata
l’inerzia delle autorità di fronte al comportamento della donna sull’assunto che
queste non hanno compiuto alcuno sforzo o adottato misure per consentire al
ricorrente di esercitare il suo diritto di visita, e che non hanno reagito al
mancato rispetto da parte della madre delle decisioni che glielo accordavano. Il
ricorrente, infine, si è lamentato per l’eccessiva durata di tutti i procedimenti.
Se lo scopo dell'art. 8 della Convenzione è essenzialmente
quello di tutelare l'individuo contro l'ingerenza arbitraria delle pubbliche
autorità, esso non solo impone allo Stato obblighi negativi – quale quello di
astenersi da tali ingerenze – ma anche obblighi positivi inerenti al rispetto
effettivo della vita privata o familiare. Questi possono comportare l'adozione
di misure volte a tutelare tale rispetto e l'istituzione di un adeguato e
sufficiente quadro giuridico che assicuri l’esercizio dei legittimi diritti
degli interessati nonché il rispetto delle decisioni giudiziarie o delle specifiche
misure adottate in casi di conflittualità familiare. In particolare, lo Stato
dovrebbe sempre agire per far riunire i genitori e i loro figli: gli obblighi
positivi non si limitano a garantire che il figlio possa raggiungere il
genitore o avere contatti con lui, ma comprendono anche tutte le misure preliminari
che permettano di raggiungere questo risultato. Per quanto riguarda la vita
familiare di un minore, la Corte ha ricordato che attualmente esiste un ampio
consenso – anche nel diritto internazionale – sull'idea che in tutte le
decisioni che riguardano i minori, il loro interesse superiore debba essere al
primo posto.
Passando ai fatti della presente causa, la Corte Europea ha ritenuto
che il suo compito fosse quello di verificare se le autorità nazionali italiane
avessero adottato tutte le misure che potessero ragionevolmente essere loro
richieste per mantenere i legami tra il ricorrente e sua figlia e di esaminare
il modo in cui sono intervenute per facilitare l'esercizio del diritto di
visita del ricorrente così come definito da differenti decisioni giudiziali. Nel
caso di specie, l’adeguatezza di una misura si valuta anche dalla rapidità con
la quale è stata posta in essere in quanto il passare del tempo può di per sé influenzare
il rapporto esistente tra un genitore e suo figlio.
I giudici di Strasburgo hanno riconosciuto che le autorità nazionali si sono confrontate con una situazione complicata, derivante dalle note tensioni esistenti tra i genitori della bambina: l'impossibilità del ricorrente di esercitare il proprio diritto di visita è da ritenersi dapprima imputabile al rifiuto manifesto della madre, poi al rifiuto della figlia e alla distanza tra il luogo di residenza della bambina (trasferitasi con la madre in un’altra città senza il consenso del padre e dei Tribunali) e quello del ricorrente. Tuttavia, la mancanza di cooperazione tra genitori separati non può esentare le autorità competenti dall'attuazione di tutti i mezzi atti a consentire il mantenimento di un legame familiare.
La Corte ha considerato che le autorità nazionali non abbiano esercitato la dovuta diligenza nella presente causa e che non siano state all’altezza di quanto ci si poteva ragionevolmente aspettare da loro. In particolare, i tribunali nazionali non hanno adottato le misure appropriate per creare le condizioni necessarie per la piena realizzazione del diritto di visita del ricorrente e non si sono avvalsi di perizie o sostegni psicoterapeutici richiesti più volte da quest’ultimo. Dalla separazione dei genitori, avvenuta quando la bambina aveva solo cinque anni, i giudici interni hanno tollerato per circa undici anni i comportamenti ostruzionistici della madre che, congiuntamente a delle misure inidonee e all’eccessiva durata dei procedimenti, hanno impedito l’istaurazione di un rapporto leale tra il ricorrente e sua figlia, violando il suo diritto al rispetto della vita familiare, previsto dall’art. 8 della Convenzione.
Riferimenti Normativi: