Diritto processuale penale
Esecuzione
14 | 04 | 2025
Continuazione: l'unicità del programma criminoso non deve essere assimilata a una concezione esistenziale fondata sulla serialità delle attività illecite del condannato
Giuseppe Molfese
Con
sentenza n. 14428 del 7 gennaio-14 aprile 2025, la prima sezione penale della Corte
di Cassazione, intervenendo con riferimento al vincolo della continuazione, ha richiamato
gli elementi da cui desumere l'ideazione unitaria da parte del singolo agente
di una pluralità di condotte illecite, affermando che le violazioni dedotte ai
fini dell'applicazione della continuazione ex art. 671 c.p.p. devono costituire
parte integrante di un unico programma criminoso, che deve essere deliberato
per conseguire un determinato fine, per il quale si richiede l'originaria
progettazione di una serie ben individuata di reati, già concepiti nelle loro caratteristiche
essenziali (Cass. pen., sez. V, 6 luglio 2015, n. 1766; Cass. pen., sez. I, 13 novembre
2012, n. 11564; Cass. pen., sez. I, 5 novembre 2008, n. 44862).
L'unicità del programma criminoso, a sua volta, non deve essere assimilata a una concezione esistenziale fondata sulla serialità delle attività illecite del condannato, perché in tal caso la reiterazione della condotta criminosa è espressione di un programma di vita improntato al crimine e che dal crimine intende trarre sostentamento e, pertanto, penalizzata da istituti quali la recidiva, l'abitualità, la professionalità nel reato e la tendenza a delinquere, secondo un diverso ed opposto parametro rispetto a quello sotteso all'istituto della continuazione, preordinato al favor rei (Cass. pen., sez. V, 12 gennaio 2012, n. 10917). Infine, con particolare riferimento alla continuazione tra il reato di partecipazione ad associazione criminosa e i reati fine, un tradizionale indirizzo della giurisprudenza di legittimità ritiene che la realizzazione dei reati-fine debba essere stata deliberata già al momento della costituzione del sodalizio (Cass. pen., sez. I, 4 luglio 2013, n. 40318; Cass. pen., sez. I, 21 gennaio 2009, n. 8451; Cass. pen., sez. I, 28 marzo 2006, n. 12639).
Secondo altra, preferibile, opinione, deve aversi piuttosto riguardo non al momento della creazione dell'associazione, ma a quello in cui il partecipe si sia determinato a farvi ingresso, essendo detto vincolo ipotizzabile a condizione che il giudice verifichi puntualmente che i reati-fine siano stati programmati al momento in cui il partecipe si è determinato a fare ingresso nel sodalizio (Cass. pen., sez. I, 28 aprile 2023, n. 39858; Cass. pen., sez. I, 22 giugno 2020, n. 23818; in motivazione, la Corte ha aggiunto che, ove si ritenesse sufficiente la programmazione dei reati-fine al momento della costituzione del sodalizio, si finirebbe per configurare una sorta di automatismo nel riconoscimento della continuazione e del conseguente beneficio sanzionatorio, in quanto tutti i reati commessi in ambito associativo dovrebbero ritenersi in continuazione con la fattispecie di cui all'art. 416-bis c.p.; Cass. pen., sez. I, 9 novembre 2017, n. 1534).
Riferimenti Normativi: