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Diritto processuale penale

Procedimenti speciali

03 | 02 | 2025

L’applicazione della misura sostitutiva del lavoro di pubblica utilità per insolvibilità del condannato dopo la Riforma Cartabia

Daria Proietti

Con sentenza n. 4310 dell’11 dicembre 2024-3 febbraio 2025, la prima sezione penale della Corte di Cassazione ha affrontato la questione attinente alla nuova disciplina in tema di conversione delle pene pecuniarie, nella parte in cui prevede l’applicazione della misura sostitutiva del lavoro di pubblica utilità per insolvibilità del condannato (artt. 71 e 56-bis, L. n. 689/1981, così come modificati dal D.L.vo n. 150/2022); queste disposizioni si applicano ai reati commessi dopo il 30 dicembre 2022 (data di entrata in vigore), alla luce di quanto disposto dall’art. 97, comma 1, D.L.vo n. 150/2022, che tuttavia ha fatto salva la loro diretta applicabilità anche ai reati commessi prima di quella data se esse «risultino più favorevoli al condannato». Il verbo utilizzato («risultino») impone un confronto tra le disposizioni, precedenti e successive al 30 dicembre 2022, che siano astrattamente applicabili al caso di specie per effettuare un’indagine sugli effetti – il risultato, per l’appunto – che nella loro concreta applicazione le une o le altre produrrebbero nei confronti del condannato.

La disciplina previgente, l’art. 102, L. n. 689/1981 nella sua vecchia formulazione, per l’ipotesi di insolvibilità del condannato alla pena pecuniaria, individuava la libertà controllata quale pena sostitutiva. Nel caso in esame, il reato per il quale il ricorrente è stato condannato è stato commesso precedentemente all’entrata in vigore della Riforma Cartabia (30 dicembre 2022); ne consegue che la misura del lavoro di pubblica utilità, invocata dall’interessato, potrebbe trovare applicazione solo laddove la si considerasse più favorevole della libertà controllata. L’art. 102, L. n. 689/1981, nella sua vecchia formulazione, prevedeva sì, in via principale, la conversione delle pene della multa e dell'ammenda non eseguite per insolvibilità del condannato nella libertà controllata. Tuttavia contemplava la possibilità di convertire la pena in lavoro sostitutivo quando vi era richiesta del condannato. La Riforma Cartabia (art. 71 citato) ha, di contro, eliminato la libertà controllata (misura definitivamente soppressa unitamente alla semidetenzione) e ha optato, nella ipotesi di mancato pagamento per insolvibilità del condannato, per il lavoro di pubblica utilità; invece, nelle ipotesi di mancato pagamento per insolvenza ha abbandonato il sistema di riscossione coatta e previsto le pene della semilibertà sostitutiva e della detenzione domiciliare sostitutiva. Nella Relazione dell’Ufficio del massimario sulla Riforma Cartabia, si dà atto di come il legislatore delegato abbia voluto, in tal modo, mantenere una progressione tra le pene risultanti dalla conversione, proporzionata alla “colpevolezza” del condannato nell’inadempienza all’obbligo di pagamento. Nella medesima relazione, inoltre, si ritiene che, in conseguenza della delimitazione temporale di operatività derivante dalla norma transitoria di cui all’art. 97, D.L.vo n. 150/2022, la nuova disciplina sia tendenzialmente irretroattiva, giacché prevede un irrigidimento complessivo dei presupposti per l’esecuzione e la conversione della pena pecuniaria nei casi di insolvenza. La consapevolezza del fatto che potevano esservi ipotesi in cui più rigide risultassero le norme previgenti, ha indotto il legislatore a lasciare spiragli aperti alla retroattività con la clausola di salvezza più volte richiamata, basata sulla valutazione degli effetti più favorevoli al condannato. A tal proposito, viene individuata, a titolo esemplificativo, quale disciplina in concreto più favorevole, quella prevista in tema di rateizzazione a seguito della intimazione di pagamento.

In effetti, in linea generale l’assetto introdotto dal legislatore è complessivamente peggiorativo, perché, tendendo a un generale favor per il pagamento della pena pecuniaria, ha reso più afflittive, per tipologia e durata, le pene derivanti dalla conversione con l’obiettivo, per l’appunto, di conseguire un pagamento spontaneo e tempestivo attraverso la minaccia di conseguenze più gravi. Ciò, ancora una volta, non esclude che, in situazioni concrete, la nuova disciplina possa rivelarsi maggiormente favorevole. Si pensi, ad esempio, al soggetto insolvibile che opti per il lavoro sostitutivo: il criterio di ragguaglio e il quantum della giornata lavorativa, previsti dalla nuova normativa, sono migliorativi rispetto a quelli previsti dalla previgente disciplina. E ciò appare particolarmente rilevante, pur considerando che il nuovo lavoro di pubblica utilità comporta, al pari della semilibertà e della detenzione domiciliare, le prescrizioni di cui all’art. 56-ter, L. n. 689/1981, finalizzate a prevenire la commissione di reati. Ciò posto, nel caso in esame, nell’individuazione della disciplina più favorevole al condannato, va osservato come, sebbene la novella normativa preveda un complessivo irrigidimento dei presupposti della conversione, la previsione del lavoro di pubblica utilità, in un’ottica costituzionalmente orientata, si attaglia alle esigenze di risocializzazione e di rieducazione della pena; ciò, a differenza della libertà controllata, maggiormente espressiva dell’esigenza retributiva della pena. 

Riferimenti Normativi:

  • Art. 102, l. 24 novembre 1981, n. 689