Diritto penale
Delitti
12 | 11 | 2024
La responsabilità solidale della banca o della società di intermediazione finanziaria per gli illeciti commessi dal promotore
Valerio de Gioia
Con sentenza n. 41220 del 15 ottobre-11 novembre 2024, la seconda sezione penale della Corte di Cassazione ha esaminato la portata applicativa dell’art. 31, comma 3, del T.U.I.F. che presenta i connotati di legge speciale nell'ambito dell'intermediazione finanziaria, in particolare, con riferimento all'attività del consulente finanziario abilitato all'offerta fuori sede che promuova e collochi i servizi di investimento e/o servizi accessori presso clienti o potenziali clienti. L'art. 31, comma 3, con riferimento alla responsabilità dell'intermediario finanziario, dispone che: «Il soggetto che conferisce l'incarico è responsabile in solido dei danni arrecati a terzi dal consulente finanziario abilitato all'offerta fuori sede, anche se tali danni siano conseguenti a responsabilità accertata in sede penale»; si tratta, in tutta evidenza, di una disposizione che prevede la responsabilità solidale del soggetto conferente l'incarico di consulenza, sostanzialmente ricalcata su quanto previsto dall'art. 2049 c.c., norma generale sulla responsabilità del datore di lavoro per i danni arrecati a terzi dai propri dipendenti. La questione della responsabilità ex art. 2049 c.c. è stata più volte affrontata dalla Suprema Corte, sia nell'ambito del contenzioso civile sia in quello penale. Punto di partenza per affrontare il tema è, in termini generali, la sentenza del massimo consesso (Cass. civ., sez. un., 16 maggio 2019, n. 13246) che ha affermato il principio secondo cui: «Lo Stato o l'ente pubblico risponde civilmente del danno cagionato a terzi dal fatto penalmente illecito del suo dipendente, anche quando questi abbia approfittato delle proprie attribuzioni ed agito per finalità esclusivamente personali od egoistiche ed estranee a quelle della amministrazione di appartenenza, purché la sua condotta sia legata da un nesso di occasionalità necessaria con le funzioni o poteri che esercita o di cui è titolare, nel senso che la condotta illecita dannosa - e, quale sua conseguenza, il danno ingiusto a terzi - non sarebbe stata possibile, in applicazione del principio di causalità adeguata ed in base ad un giudizio controfattuale riferito al tempo della condotta, senza l'esercizio di quelle funzioni o poteri che, per quanto deviati o abusivi od illeciti, non ne integri uno sviluppo oggettivamente anomalo». Dalla massima si ricava che l'oggetto principale dell'accertamento giudiziario è la sussistenza del cosiddetto nesso di occasionalità necessario tra la condotta illecita del dipendente e le funzioni o mansioni svolte all'interno dell'attività lavorativa organizzata dal datore di lavoro, sia esso pubblico sia esso privato. Con riguardo all'illecito consumato dal promotore finanziario, in linea con i principi espressi dalle Sezioni Unite, è stato, peraltro, affermato che: «In tema di intermediazione finanziaria, la società preponente risponde del danno causato al risparmiatore dai promotori finanziari in tutti i casi in cui sussista un nesso di occasionalità necessaria tra il danno e l'esecuzione delle incombenze affidate al promotore. La condotta del terzo investitore può fare venire meno questa responsabilità solo qualora sia per lui chiaramente percepibile che il preposto, abusando dei suoi poteri, agisca per finalità estranee a quelle del preponente, ovvero quando il medesimo danneggiato sia consapevolmente coinvolto nell'elusione della disciplina legale da parte dell'intermediario od abbia prestato acquiescenza all'irregolare agire dello stesso, palesata da elementi presuntivi, quali il numero o la ripetizione delle operazioni poste in essere con modalità irregolari, il loro valore complessivo, l'esperienza acquisita nell'investimento di prodotti finanziari, la conoscenza del complesso "iter" funzionale alla sottoscrizione di programmi di investimento e le sue complessive condizioni culturali e socio economiche» (così, Cass. civ., sez. III. 17 gennaio 2020, n. 857; conf. Cass. civ., sez. III, 22 novembre 2018, n. 30161; cfr. anche Cass. civ., sez. III, 12 ottobre 2018, n. 25374; più di recente conf. Cass. civ., sez. VI-3, 25 ottobre 2022, n. 31453). Le sentenze citate hanno, in particolare, approfondito il tema dell'eventuale interruzione del nesso di occasionalità necessario derivante dalla condotta del terzo investitore, il quale abbia consapevolmente prestato acquiescenza all'agire irregolare del promotore finanziario, in quasi tutti i casi allo scopo di lucrarne ritorni economici più consistenti dagli investimenti fatti tramite il preposto. Anche la giurisprudenza penale si è mossa lungo la stessa linea interpretativa. In termini più generali, si è sostenuto che: «In tema di responsabilità civile da reato, specificamente fondata sull'art. 2049 c.c., ovvero responsabilità solidale per il fatto altrui, sussiste la responsabilità del committente per l'attività illecita posta in essere dall'agente anche privo del potere di rappresentanza, quando la commissione dell'illecito sia stato agevolato o reso possibile dalle incombenze demandate a quest'ultimo e il committente abbia avuto la possibilità di esercitare poteri di direttiva e di vigilanza. (Fattispecie di mandato senza rappresentanza in cui l'agente operava nell'ambito delle direttive impartite dal committente, senza il potere di intervenire sul contenuto dei rapporti con la clientela, ed era inserito nell'organizzazione dell'impresa del committente per quanto concerneva la riscossione dei canoni anticipati)» (così, Cass. pen., sez. V, 9 febbraio 2016, n. 7124). Ai fini della responsabilità solidale della banca o della società di intermediazione finanziaria per gli illeciti commessi dal promotore, è necessario, in ogni caso, accertare due presupposti fattuali, posti, in termini astratti, l'uno di seguito all'altro. In primo luogo, il giudice deve verificare il collegamento effettivo e concreto tra la condotta illecita del promotore finanziarie (in termini generali del dipendente della banca) e le funzioni lavorative allo stesso affidate, il cosiddetto nesso di occasionalità necessaria, in cui si ritiene sufficiente che le mansioni assegnate al preposto dal preponente abbiano reso possibile o anche solo agevolato la condotta dannosa. Se, poi, tale verifica risulta positiva, il giudice deve accertare, di solito a fronte delle eccezioni della società citata come responsabile civile, se l'investitore danneggiato abbia tenuto comportamenti gravemente "anomali" tali da elidere il nesso di occasionalità necessaria, riscontrabili ad esempio in condotte collusive o pienamente consapevoli delle irregolarità compiute dal promotore finanziario. Risulta a contrario evidente, perciò, che se il primo accertamento relativo al nesso di cui sopra è negativo, in quanto non emerge un effettivo collegamento funzionale tra le mansioni affidate dall'ente al preposto e la sua successiva condotta illecita, l'ulteriore verifica, quella inerente alla condotta dell'investitore, è superflua e, quindi, irrilevante ai fini dell'affermazione della responsabilità civile della banca, già esclusa per la mancanza del primo presupposto.
Riferimenti Normativi: