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Diritto amministrativo

Edilizia e Urbanistica

03 | 09 | 2024

I provvedimenti di annullamento in autotutela in materia edilizia

Valerio de Gioia

Con sentenza n. 7367 del 3 settembre 2024, la quarta sezione del Consiglio di Stato ha affermato che, anche nel settore edilizio, i provvedimenti di annullamento in autotutela rientrano nell'ambito normativo dell'art. 21-nonies, L. n. 241/1990, il quale ha ridefinito il relativo potere conferendo all'amministrazione un margine di discrezionalità che si basa sulla valutazione dell'interesse pubblico rispetto alla fiducia riposta dal destinatario dell'atto. Per esercitare il potere di revoca d'ufficio delle autorizzazioni edilizie, è necessaria l'origine di una illegittimità del provvedimento e la presenza di un interesse pubblico effettivo e attuale alla sua revoca, che non si limita al semplice ripristino della legalità violata, considerando anche le posizioni giuridiche soggettive acquisite dai destinatari. L'attività di autotutela rappresenta quindi, anche per quanto riguarda la pianificazione territoriale, un'espressione di discrezionalità significativa che non esime l'amministrazione dall'obbligo di giustificare, anche in modo sommario, l'esistenza dei suddetti requisiti. In particolare, il potere di autotutela deve essere esercitato dalla pubblica amministrazione entro un termine ragionevole, specialmente quando il privato, dopo un certo periodo, ha lecito affidamento sulla regolarità del permesso edilizio avendo già realizzato il progetto (Cons. Stato, sez. VI, 2 luglio 2024, n. 5830).

L’art. 39, d.P.R. n. 380/2001 che, pur costituendo espressione – secondo l’orientamento più recente della giurisprudenza amministrativa – del medesimo potere di annullamento d’ufficio sancito in via generale dall’art. 21-nonies, L. n. 241/1990 (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 15 marzo 2022, n. 1824) si contraddistingue per l’oggetto più specifico costituito, appunto, dei provvedimenti comunali che autorizzano interventi non conformi a prescrizioni degli strumenti urbanistici o dei regolamenti edilizi o comunque in contrasto con la normativa urbanistico-edilizia vigente al momento della loro adozione e, soprattutto, per il soggetto peculiare, la Regione, cui il potere è attribuito, ente diverso da quello che ha adottato il provvedimento e, in tal senso, proprio per la sua specialità, non risulta suscettibile di applicazione analogica nell’individuazione del termine decennale eccezionalmente previsto in luogo di quello di 12 mesi (18 al momento dell’adozione del provvedimento impugnato in primo grado) dalla norma generale. Se, dunque, nell’ipotesi di cui all’art. 39, d.P.R. n. 380/2001, così come in tutti i casi di annullamento d’ufficio, la condizione necessaria per poter attivare l'intervento di secondo grado dell’Amministrazione “è l'illegittimità del titolo edilizio, tale sola illegittimità, tuttavia, non è sufficiente, dovendosi riscontrare, altresì, (anche in questo caso) la sussistenza di un concreto e attuale interesse pubblico; tale interesse non può coincidere, inoltre, con la mera esigenza di ripristino della legalità violata (id est, nella versione dell'interesse pubblico in re ipsa o nell'altra dell'attività doverosa a prescinderne dalla sussistenza) poiché deve tenere conto, appunto, dell'attualità dell'interesse primario alla rimozione dell'atto (principio di effettività del potere) e compararlo con gli interessi secondari, nonché con le posizioni giuridiche soggettive consolidate in capo ai destinatari (limite esterno all'esercizio della discrezionalità). La comparazione degli interessi legati alla tutela del territorio ed al legittimo affidamento ingeneratosi nei privati deve essere, poi, puntualmente esplicitata nella motivazione del provvedimento, ancor più qualora l'intervento dell'Ente avvenga a distanza di molto tempo dal rilascio del titolo abilitativo…” (Cons. Stato, sez. VII, 15 febbraio 2024 n. 1536).

Sul punto, il Consiglio di Stato ha richiamato l'intervento dell'Adunanza plenaria n. 8 del 2017 che, nell'affrontare la questione relativa alla valenza del presupposto dell'interesse pubblico concreto e attuale nell'esercizio del potere di annullamento, ha enunciato il principio di diritto per cui "nella vigenza dell'articolo 21-nonies della l. 241 del 1990 - per come introdotto dalla L. 15 del 2005 - l'annullamento d'ufficio di un titolo edilizio (...) intervenuto ad una distanza temporale considerevole dal provvedimento annullato, deve essere motivato in relazione alla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale all'adozione dell'atto di ritiro anche tenuto conto degli interessi dei privati destinatari del provvedimento sfavorevole", evidenziando, sempre, al contempo, che il mero decorso del tempo, di per sé solo, non consuma certo il potere di adozione dell'annullamento d'ufficio, che l'onere motivazionale dell'Amministrazione può attenuarsi in ragione della rilevanza e autoevidenza degli interessi pubblici tutelati e che non appare configurabile alcun legittimo affidamento in caso di non veritiera prospettazione da parte del privato delle circostanze in fatto e in diritto poste a fondamento dell'atto illegittimo a lui favorevole. In assenza dei suddetti elementi di auto-evidenza o di falsità e in considerazione del carattere risalente del rilascio del titolo, la valutazione dell’Amministrazione di archiviare il procedimento di riesame, vista la mancanza di un interesse attuale e concreto in grado di sorreggere una determinazione di annullamento appare ragionevole e congrua e, come tale, immune dalle censure dedotte dagli originari ricorrenti, salva la facoltà per questi ultimi di agire in giudizio per il rispetto delle distanze in sede civilistica. A ciò può aggiungersi l’osservazione per cui "se si prescindesse dalla ponderazione degli interessi in gioco mercé l'obnubilazione di ogni valutazione dell'interesse pubblico concreto e attuale per l'esercizio del potere di annullamento di cui si discetta, si consentirebbe in ipotesi-limite all'amministrazione - la quale abbia comunque errato nel rilascio di una sanatoria illegittima - dapprima di restare inerte anche per un lungo lasso di tempo e poi di adottare un provvedimento di ritiro privo di alcuna motivazione, in tal modo restando pienamente de-responsabilizzata nonostante una triplice violazione dei principi di corretta gestione della cosa pubblica" (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen. n. 9 del 2018).

Riferimenti Normativi:

  • Art. 39, d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380
  • Art. 21, l. 7 agosto 1990, n. 241