Diritto processuale penale
Soggetti
23 | 08 | 2024
I limiti di utilizzabilità delle dichiarazioni «autoindizianti»
Valerio de Gioia
Con sentenza n. 33083 del 2 luglio-23 agosto 2024, la quinta sezione penale della Corte di Cassazione ha ribadito un orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, secondo cui le dichiarazioni rese innanzi alla polizia giudiziaria o all'autorità giudiziaria da una persona non sottoposta ad indagini, ed aventi carattere auto-indiziante, non sono utilizzabili, per violazione dell'art. 63, comma 1, c.p.p., solo contro chi le ha rese, ma sono pienamente utilizzabili contro i terzi, in relazione ai quali la sanzione processuale della inutilizzabilità, prevista dall'art. 63, comma 1, c.p.p., non opera (Cass. pen., sez. II, 14 luglio 2016, n. 30965; Cass. pen., sez. II, 26 novembre 2020, n. 5823).
È anche vero che l'indirizzo interpretativo in parola è stato precisato da altro, che ha messo in rilievo lo "spartiacque" rappresentato dall'inciso di cui all'ultima parte del primo periodo e nel secondo periodo dell'art. 63, comma 1, c.p.p., in base ai quali, ove emergano indizi di reità a carico del propalante "l'autorità procedente ne interrompe l'esame, avvertendola che a seguito di tali dichiarazioni potranno essere svolte indagini nei suoi confronti e la invita a nominare un difensore. Le precedenti dichiarazioni non possono essere utilizzate contro la persona che le ha rese". L'inutilizzabilità erga omnes delle dichiarazioni rese dalla persona (già legittimamente sentita in origine come testimone o come persona informata sui fatti), dopo aver reso dichiarazioni autoindizianti nel corso del medesimo esame, non interrotto ai sensi dell'art. 63, comma 1, c.p.p. si trova costantemente affermata nella giurisprudenza di legittimità (Cass. pen., sez. III, 18 settembre 2020, n. 30922; Cass. pen., sez. II, 24 settembre 2020, n. 28942; Cass. pen., sez. II, 3 dicembre 2015, n. 50333; Cass. pen., sez. I, 4 maggio 2012, n. 25834). Tale principio, in precedenza, era stato espresso in fattispecie nelle quali dalle dichiarazioni autoindizianti erano emersi, a carico del dichiarante, indizi di correità in relazione al reato per cui si procedeva; nella fattispecie esaminata da Cass. pen., sez. III, 18 settembre 2020, n. 30922, invece, il dichiarante era altresì persona offesa del reato, e all'inizio del suo esame aveva ammesso di aver commesso un reato in occasione del quale era stato commesso ai suoi danni quello per cui si procedeva. A sostegno della tesi dell'inutilizzabilità assoluta la Corte, nella sentenza in esame, ha rilevato che la disciplina di cui all'art. 63, comma 1, c.p.p. è costitutiva del divieto, operante nella fase delle indagini, di acquisire ulteriori dichiarazioni da chi è sentito come persona informata sui fatti quando da quelle precedentemente rese siano emersi indizi di reità a suo carico, se prima non si proceda ad interrompere l'esame e a dare al dichiarante gli avvertimenti indicati dall'art. 63, comma 1, c.p.p.; la violazione di tale divieto determina l'inutilizzabilità assoluta e patologica delle dichiarazioni rese "dopo" quelle autoindizianti, coerentemente con la specifica previsione della sanzione dell'inutilizzabilità "relativa" al solo dichiarante di quelle rese nella fase antecedente (Cass. pen., sez. II, 24 settembre 2020, n. 28942, a sostegno della medesima tesi, ha osservato che dal tenore letterale della norma di cui all'art. 63, comma 1, c.p.p. si evince «con sufficiente chiarezza, attraverso un'agevole lettura a contrario, che le dichiarazioni utilizzabili erga omnes sono quelle precedenti all'emersione degli indizi a carico del dichiarante che si autoaccusa – che genera l'obbligo di interruzione del verbale – e non di quelle successive», considerando tale interpretazione «(a) coerente con la lettera della legge dato che se si prescrive che le "precedenti" dichiarazioni non possono esser utilizzate nei confronti della persona che le ha rese, le dichiarazioni che possono essere utilizzate erga alios non possono che essere, ancora una volta, che quelle "precedenti" alle autoaccuse; (b) rispettosa della regola del codice di rito che prescrive che all'emersione di indizi di reità segua l'interversione dello statuto della testimonianza dato che il dichiarante da "neutro" assume la qualifica di persona "coinvolta nel fatto" (Cass. pen., sez. un., 26 marzo 2015, n. 33583)».
Ritiene allora la Suprema Corte che una ragionevole interpretazione della ratio dell'art. 63 comma 1, ultima parte, c.p.p. imponga di circoscrivere il significato dell'inciso "dichiarazioni dalle quali emergano indizi di reità" a carico del dichiarante ai casi in cui siano delineabili "indizi non equivoci di reità" nei suoi confronti (cfr. in motivazione Cass. pen., sez. un. Lo Presti cit.; Cass. pen., sez. un., 23 aprile 2009, n. 23868; in motivazione, Cass. pen., sez. un., 22 febbraio 2007, n. 21832), da intendersi altrimenti come "precisi" indizi di responsabilità, che non possono automaticamente inferirsi dal solo fatto che il dichiarante risulti essere stato, in qualche modo, coinvolto in vicende potenzialmente suscettibili di dar luogo alla formulazione di addebiti di carattere penale a suo carico. Occorre invece che le predette vicende, così come percepite dall'autorità inquirente, presentino connotazioni tali da indurre a ravvisare concretamente la sussistenza di elementi di spessore indiziante sufficiente ad attribuire al soggetto la qualità di indagato (in motivazione, Cass. pen., sez. VI, 11 aprile 2014, n. 32712; v. anche Cass. pen., sez. III, 26 aprile 2005, n. 21747; Cass. pen., sez. VI, 16 aprile 2010, n. 28110; Cass. pen., sez. VI, 7 ottobre 2004, n. 4422).
Riferimenti Normativi: