Diritto processuale penale
11 | 07 | 2024
Le sorveglianze carcerarie e i rischi di danni alla vita
Beatrice Gregorini Mastrangelo
La quinta sezione della Corte europea dei diritti dell’uomo, nella causa Sahraoui e altri contro Francia n. 35402/20 del 11 luglio 2024, si è concentrata sul tema dell’assistenza sanitaria e delle forme di sorveglianza nelle carceri, auspicando e sollecitando trattamenti attuati con grande accortezza e proporzionalità, a causa dell’alto rischio di danni alla vita. In particolar modo, la Corte si è soffermata sulle misure necessarie per la protezione della vita dei detenuti vulnerabili poiché affetti da patologie, deficit intellettivi-motori e/o dipendenze.
La Corte EDU, significativamente, ha evidenziato il degrado che spesso risiede nelle istituzioni di vigilanza carcerarie, dando ascolto al problema delle misure poco attigue alle esigenze di chi versa in uno stato di fragilità e vulnerabilità ed all’esiguità di cure mediche in grado di proteggere la vita del detenuto, anche e soprattutto quando la vita stessa è in grave pericolo (cfr. Rooman contro Belgio, n. 18052/11, § 143 del 31 gennaio 2019 e Jasinskis contro Lettonia, n. 45744/08, § 60 del 21 dicembre 2010). Ha chiarito la Corte europea dei diritti dell’uomo che sussiste un obbligo per le autorità di ciascuno Stato membro dell’UE di valutare in modo esaudiente lo stato di salute del cittadino in ogni luogo in cui egli vive la propria esistenza all’interno del territorio nazionale, offrendo un’assistenza adeguata e proporzionale allo stato di salute nonché alle capacità psicomotorie dello stesso (si rimanda, per approfondimenti, alle cause Patsaki e altri contro Grecia, n. 20444/14, § 88 articolo 2 del 7 febbraio 2019, McGlinchey e altri contro Regno Unito, n. 50390/99, CEDU 2003-V, Wenner contro Germania, n. 62303/13, articolo 8 del 1 settembre 2016 e Abdyuusheva e altri contro Russia, n. 58502/11 e altri 2, articolo 8 del 26 novembre 2019).
In questo quadro si colloca il disposto normativo dell’articolo 2, § 1 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), che, come ha commentato la Corte di Strasburgo, «impone allo Stato non solo di astenersi dall’uccisione intenzionale e illegale, ma anche di adottare le misure necessarie per proteggere la vita delle persone soggette alla sua giurisdizione» (cfr. LCB contro Regno Unito del 9 giugno 1998, § 36, Raccolta di sentenze e decisioni 1998-III, Fernandes de Oliveira contro Portogallo, n, 78103/14, § 104 del 31 gennaio 2019 e Patsaki e altri contro Grecia, § 86, sopra citato). Il suddetto obbligo positivo, seguendo il fedele insegnamento della giurisdizione comunitaria (vedi Vavřička e altri contro Repubblica Ceca, n. 47621/13 e altri 5, § 282 del 8 aprile 2021), deve essere interpretato come valido nell'ambito di qualsiasi attività, pubblica e non, che possa mettere in pericolo il diritto alla vita e, per di più, deve essere inteso come obbligazione di mezzi e non di risultato (vedi mutatis mutandis Patsaki e altri contro Grecia, sopra citato, § 89 e Marro e altri contro Italia, n. 29100/07, § 45 del 8 aprile 2014).
Come ricorda la Corte di Strasburgo, «qualsiasi morte in detenzione in circostanze sospette potrebbe sollevare la questione del rispetto da parte dello Stato del suo obbligo di tutelare il diritto alla vita di questa persona […] poiché lo Stato è direttamente responsabile del benessere delle persone» (v. Karsakova contro Russia, n. 1157/17, § 48 del 27 novembre 2014 e Ainis e altri contro Italia, n. 2264/12, § 54 del 14 settembre 2023). Di estrema importanza è, orbene, la tutela della persona nella sua interezza, tenendo nel concreto conto delle situazioni di vulnerabilità e/o carenze psichiche e/o deficit motori e/o patologie innate o sopravvenute e/o dipendenze da farmaci e droghe, anche, inevitabilmente, nelle sedi carcerarie, ove i comportamenti umani posson esser estremi, così da limitare ed auspicabilmente ridurre a zero i rischi di danni alla vita della persona. Sono fondamentali, dunque, trattamenti proporzionali alle condizioni di vita del detenuto, il che, ovviamente, presuppone un accertamento di base delle condizioni del soggetto nonché una preparazione del personale confacente ai bisogni del caso concreto, attuando anche, ove necessario, sorveglianze mediche rafforzate. La Corte EDU ha evidenziato, difatti, che «spetta alle autorità di prestare particolare attenzione […] alla vulnerabilità, all'importanza delle comorbilità psichiatriche e agli effetti ansiogeni della carcerazione e di procedere, se necessario, a esami medici più approfonditi o ad altri adeguamenti nell'organizzazione dell'assistenza o nella gestione dei pazienti in stato di detenzione».