Diritto civile
Contratti
06 | 06 | 2024
I negozi preparatori
Valerio de Gioia
Con ordinanza n. 15801 del 6 giugno
2024, la terza sezione civile della Corte di Cassazione ha affermato che è ben
noto che durante le trattative, in vista della stipulazione di un contratto
che, definitivamente, regoli i rapporti tra le parti in ordine ad un
determinato affare (si tratti ad es. di vendita, permuta, o, come nella specie,
locazione), le parti stesse possono anche decidere – nell’ambito della libertà
negoziale loro riconosciuta dall’ordinamento ed eventualmente a suggello delle
trattative stesse – di vincolarsi sia con negozi unilaterali, sia con accordi
(lato sensu) preliminari o provvisori, per le più varie ragioni; e possono
scegliere liberamente, in tale ambito, proprio per il perseguimento dei loro
interessi, tra diverse tipologie di istituti: così, esemplificativamente, per
restare ai negozi bilaterali, con il contratto preliminare possono obbligarsi
(l’una o l’altra, o entrambe) alla stipula del contratto definitivo, entro un
certo termine; con il patto di opzione (parificato, nel regime normativo, ex
artt. 1331 e 1329 c.c., alla proposta irrevocabile), possono riconoscere ad una
parte il potere di concludere o meno il contratto, mediante una congruente
manifestazione di volontà; con il patto di prelazione, possono attribuire ad
una parte il diritto di essere preferita ad altri nella conclusione del
contratto, a determinate condizioni, a seguito dell’interpello eseguito dal
promittente.
Com’è ovvio, da detti accordi – in quanto strumentali, con efficacia naturaliter più o meno limitata nel tempo, giacché collegati al definitivo regolamento degli interessi delle parti – discendono per le parti diritti ed obblighi, variamente diversificati, in relazione alle cennate tipologie. Così, se il contratto preliminare determina l’insorgenza dell’obbligo - di una parte (se unilaterale) o di entrambe (se bilaterale) - di concludere il contratto definitivo e il correlativo diritto di pretendere che la parte obbligata presti il necessario consenso a tal fine, il patto di opzione attribuisce invece all’opzionario il diritto potestativo di concludere il contratto cui detto patto accede, mediante il connesso esercizio, cui corrisponde la posizione di soggezione dell’altra parte (concedente): la dichiarazione di volontà con cui l’opzionario esercita il diritto determina la conclusione del contratto; il patto di prelazione, invece, attribuisce al promissario il diritto di essere preferito nella conclusione del contratto, alle condizioni concordate, ma resta fermo il potere del promittente di non concludere il contratto stesso, non essendovi di regola obbligato (e salvo che il patto non preveda anche un tale obbligo). Più in dettaglio, in forza del patto di prelazione, il promittente è tenuto ad uno specifico comportamento per il caso di determinazione a stipulare il contratto, comportamento rappresentato dalla comunicazione di tale intenzione al prelazionario (denuntiatio). La comunicazione, se positivamente riscontrata, non determina a sua volta, di regola, né la conclusione del contratto definitivo, né l’obbligazione di stipulare il contratto alle condizioni indicate; dunque non fa sorgere neppure un contratto preliminare, salvo che non lo si sia espressamente previsto. Il promittente, infatti, può anche decidere di non stipulare il contratto: perché insorga l’obbligo di stipularlo è necessaria la previsione espressa, nell’ambito del patto di prelazione, come conseguenza dell’accettazione della denuntiatio diretta a garantire la prelazione stessa. Resta fermo che, nel caso di violazione del patto di prelazione (puro e semplice) da parte del promittente, che concluda senz’altro con terzi il contratto cui esso inerisce, senza effettuare la denuntiatio, oppure senza attendere la scadenza del termine assegnato al prelazionario per il relativo esercizio, o anche senza tener conto dell’avvenuta accettazione dello stesso prelazionario, questi può solo agire per il risarcimento del danno derivante dall’inadempimento (v. Cass. civ. n. 19928/2008), in quanto l’ordinamento non appresta, per il caso di prelazione volontaria, rimedi lato sensu coercitivi: né il diritto di riscatto (riservato a ben specifiche ipotesi di prelazione ex lege, come ad es. il retratto successorio ex art. 732 c.c., oppure in tema di vendita di terreni agricoli, ex art. 8, L. n. 590/1965), né tantomeno l’esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c..
Tirando le fila di tutto quanto precede, le figure negoziali bilaterali prima descritte hanno indubbiamente effetti obbligatori, compreso il patto di prelazione volontaria , ma non tutte determinano l’obbligo di addivenire, entro un preciso termine, alla stipula del contratto, perché ciò vale solo per il contratto preliminare.
Detto altrimenti: un patto di prelazione non è un contratto preliminare, il cui inadempimento sia coercibile ex art. 2932 c.c. A differenza del contratto preliminare unilaterale, che comporta l'immediata e definitiva assunzione dell'obbligazione di prestare il consenso per il contratto definitivo, il patto di prelazione relativo alla vendita di un bene genera, a carico del promittente, un'immediata obbligazione negativa di non venderlo ad altri prima che il prelazionario dichiari di non voler esercitare il suo diritto di prelazione o lasci decorrere il termine all'uopo concessogli, ed un'obbligazione positiva avente ad oggetto la denuntiatio al medesimo della sua proposta a venderlo, nel caso si decida in tal senso. Questa obbligazione, nel caso di vendita ad un terzo del bene predetto, sorge e si esteriorizza in uno al suo inadempimento, sì che il promissario non può chiederne l'adempimento in forma specifica, per incoercibilità di essa a seguito della vendita al terzo, ma soltanto il risarcimento del danno, mentre, nel caso di promessa di vendita ad un terzo del medesimo bene, è ugualmente incoercibile, ai sensi dell'art. 2932 c.c., non configurando un preliminare” (Cass. civ. n. 3571/1999; conf. Cass. civ. n. 3124/1987; Cass. civ. n. 265/1975).
Riferimenti Normativi: