Diritto civile
Responsabilità
10 | 05 | 2024
Gli obblighi gravanti sul c.d. «giornalista di inchiesta»
Valerio de Gioia
Con ordinanza n. 12773 del 10 maggio 2024, la prima sezione civile della Corte di Cassazione ha affermato che il diritto di critica non si concreta, come il diritto di cronaca, nella mera narrazione veritiera di fatti, ma si esprime in un giudizio che, come tale, non può che essere soggettivo rispetto ai fatti stessi, fermo restando che il fatto presupposto ed oggetto della critica deve corrispondere a verità, sia pure non assoluta, ma ragionevolmente putativa per le fonti da cui proviene o per altre circostanze oggettive, così come accade per il diritto di cronaca (Cass. civ. n. 7847/2011; Cass. civ. n. 19204/2023; Cass. civ. n. 21892/2023), rammentando che - nella stessa prospettiva - si colloca la giurisprudenza della Corte EDU sull'art. 10 della Convenzione, in tema di libertà di espressione, il quale, nel distinguere tra la “materialità dei fatti” e i “giudizi di valore”, pone in rilievo che, quand'anche “equivale a un giudizio di valore, una dichiarazione deve fondarsi su una base fattuale sufficiente, senza la quale sarebbe eccessiva” (Cass. n.25420/2017 ed ulteriori precedenti ivi richiamati); inoltre, i limiti dell'esimente sono costituiti anche dalla rilevanza sociale dell'argomento e dalla correttezza formale di espressione (Cass. civ. n. 1285/2017; Cass. civ. n. 21892/2023). É stato inoltre sottolineato che «per riconoscere efficacia esimente al diritto di critica, che si esprime in un giudizio avente carattere necessariamente soggettivo rispetto al fatto, occorre che quest'ultimo corrisponda a verità, sia pure ragionevolmente putativa, mentre non è necessario che sia esposto con la completezza richiesta quando si esercita, a scopo informativo, il diritto di cronaca» (Cass. civ. n. 14727/2018; Cass. civ. n. 16506/2019). In sintesi, rilevano nell’ambito del diritto di critica, come presupposti per il legittimo esercizio della scriminante di cui all'art. 51 c.p., con riferimento all'art. 21 Cost.: a) l'esistenza concreta di un interesse pubblico generale alla divulgazione del racconto, ravvisabile anche quando non si tratti di interesse della generalità dei cittadini ma di quello della categoria di soggetti ai quali, in particolare, si indirizza la comunicazione; b) la continenza, ovvero la correttezza formale e sostanziale dell'esposizione dei fatti da intendersi nel senso che l'informazione non deve assumere contenuto lesivo dell'immagine e del decoro; c) la corrispondenza tra la narrazione ed i fatti realmente accaduti (in tema, Cass. civ. n. 2357/2018, in linea con una costante giurisprudenza; v. sul punto Cass. civ. n. 15443/2013). Ciò è stato ulteriormente ribadito dall’ordinanza n. 38215/2021, nella quale è puntualizzato che il diritto di critica, quale estrinsecazione della libera manifestazione del pensiero, ha rango costituzionale al pari del diritto all'onore e alla reputazione, sul quale tuttavia prevale, scriminando l'illiceità dell'offesa, a condizione che siano rispettati i limiti della continenza verbale, della verità dei fatti attribuiti alla persona offesa e della sussistenza di un interesse pubblico alla conoscenza dei fatti oggetto della critica. In questo ambito, espresso dal preponderante esercizio del diritto di critica rispetto al diritto di cronaca, si colloca il cd. “giornalismo d’inchiesta”, quale species più rilevante della attività di informazione, che rappresenta una particolare forma di espressione della libertà di manifestazione del pensiero, di cui all'art. 21 Cost., perché è connotato (come riconosciuto anche dalla Corte di Strasburgo) dalla ricerca e acquisizione autonoma, diretta e attiva, della notizia da parte del professionista. A tale giornalismo va riconosciuta così ampia tutela ordinamentale da comportare, in relazione ai limiti regolatori dell’esercizio del diritto di cronaca e di critica, già individuati dalla giurisprudenza di legittimità, una meno rigorosa, e comunque diversa, applicazione della condizione di attendibilità della fonte della notizia; venendo meno, in tal caso, l’esigenza di valutare la veridicità della provenienza della notizia, che non è mediata dalla ricezione “passiva” di informazioni esterne, ma ricercata, appunto, direttamente dal giornalista, il quale, nell’attingerla, deve ispirarsi ai criteri etici e deontologici della sua attività professionale, quali, tra l’altro, quelli menzionati nella L. n. 69/1963 e nella Carta dei doveri del giornalista (Cass. civ. n. 30522/2023; Cass. civ. n. 4036/2021; Cass. civ. n. 16236/2010). Dal che consegue che: «… è scriminato il giornalista che eserciti la propria attività mediante la denuncia di sospetti di illeciti, allorché i medesimi, secondo un apprezzamento caso per caso riservato al giudice di merito, risultino espressi in modo motivato e argomentato sulla base di elementi obiettivi e rilevanti e mediante il ricorso, attraverso una ricerca attiva, a fonti di notizia attendibili» (Cass. civ. n. 19611/2023). Anche la Corte di legittimità in sede penale ha statuito che, nell’ambito del cd. “giornalismo d’inchiesta”, è possibile, per il giornalista, una verifica meno rigorosa di attendibilità delle fonti, venendo meno - in tal caso - l’esigenza di valutare la veridicità della provenienza della notizia, che non è mediata dalla ricezione “passiva” di informazioni esterne ma ricercata, appunto, direttamente dall’autore del servizio che, comunque, nell’attingere la notizia deve pur sempre ispirarsi ai criteri etici e deontologici della sua attività professionale. In particolare, ha puntualizzato che il requisito della “veridicità della notizia”, richiesto per invocare utilmente la causa di giustificazione del diritto di cronaca in materia di diffamazione a mezzo stampa, è dunque attenuato nel caso di “giornalismo d’inchiesta” (Cass. pen. n. 43569/2019). È stato, altresì, precisato che, ai fini del rispetto del requisito della continenza, comunque richiesto anche nell'ipotesi della scriminante in esame, non devono essere comunque usati «toni allusivi, insinuanti, decettivi, ricorrendo al sottinteso sapiente, agli accostamenti suggestionanti, al tono sproporzionatamente scandalizzato e sdegnato …» (Cass. civ. n. 27592/2019) e si è osservato che, nel “giornalismo d'inchiesta”, il sospetto deve mantenere il proprio carattere “propulsivo e induttivo di approfondimento”, essendo autonomo e, di per sé, ontologicamente distinto dalla nozione di attribuzione di un fatto non vero (Cass. civ. n.21855/2019; v. anche in penale, Cass. pen. n. 9337/2013; Cass. pen. n. 34477/2021). Grava, infine, sul giornalista, ex art. 2697 c.c., l’onere della prova circa l'esistenza dei presupposti per ritenere integrata l'esimente del diritto di critica e, in particolare, l'onere di provare il rispetto dei requisiti della verità (sia pure non assoluta bensì ragionevolmente putativa, in quanto frutto di un serio lavoro di ricerca delle fonti da cui proviene), continenza e pertinenza. In definitiva, il giornalista d'inchiesta non si limita alla divulgazione della notizia, come nel giornalismo ordinario di informazione, ma provvede egli stesso alla raccolta autonoma e diretta della notizia, attraverso, indagini e inchieste svolte in prima persona, anche con l'ausilio o l'utilizzo di fonti esterne, commentandola ed elaborandola, per poi trasmetterla, mediante i comuni mezzi di comunicazione, al fine di informare i cittadini su tematiche di interesse pubblico (Cass. n. 30522/2023).
Riferimenti Normativi: