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Diritto processuale penale

Impugnazione

02 | 05 | 2024

L’interesse ad impugnare del terzo in caso di confisca di prevenzione di beni ritenuti allo stesso fittiziamente intestati

Valerio de Gioia

Con sentenza n. 17519 del 27 febbraio-2 maggio 2024, la sesta sezione penale della Corte di Cassazione è intervenuta sull’interesse ad impugnare del terzo nel caso di confisca di prevenzione avente ad oggetto beni ritenuti a lui fittiziamente intestati.

La giurisprudenza di legittimità ha elaborato una nozione di interesse ad impugnare nel procedimento penale che, a differenza delle impugnazioni civili che presuppongono un processo di tipo contenzioso, non è basata sul concetto di soccombenza, quanto, piuttosto, su una prospettiva utilitaristica, ossia nella finalità negativa, perseguita dai soggetto legittimato, di rimuovere una situazione di svantaggio processuale derivante da una decisione giudiziale, e in quella, positiva, del conseguimento di un'utilità, ossia di una decisione più vantaggiosa rispetto a quella oggetto del gravame, e che risulti logicamente coerente con il sistema normativo (Cass. pen., sez. un., 27 ottobre 2011, n. 6624; Cass. pen., sez. un., 3 dicembre 1995, n. 42). Tale nozione di interesse ad impugnare è stata declinata in termini non pienamente simmetrici con riferimento alla posizione del terzo nell'ambito del procedimento di prevenzione. Secondo l'orientamento maggioritario della giurisprudenza di legittimità, in caso di confisca di prevenzione avente ad oggetto beni ritenuti fittiziamente intestati a un terzo, quest'ultimo può rivendicare esclusivamente l'effettiva titolarità e la proprietà dei beni sottoposti a vincolo, assolvendo al relativo onere di allegazione, ma non è legittimato a contestare i presupposti per l'applicazione della misura, quali la condizione di pericolosità, la sproporzione fra il valore del bene confiscato e il reddito dichiarato, nonché la provenienza del bene stesso, che solo il proposto può avere interesse a far valere (Cass. pen., sez. VI, 9 gennaio 2024, n. 5094; Cass. pen., sez. VI, 14 novembre 2023, n. 48761; Cass. pen., sez. I, 11 maggio 2023, n. 35669). Tale indirizzo, muovendosi nel solco della nozione di interesse ad impugnare appena illustrata, ricostruisce i temi deducibili dal terzo muovendo dalla considerazione che l'unico aspetto del contendere che lo coinvolge direttamente attiene alla confutazione della prospettazione accusatoria secondo la quale, a dispetto del dato formale, l'utilità considerata dalla confisca dovrebbe ricondursi alla sostanziale diponibilità del proposto. Secondo tale impostazione ermeneutica, dunque, deve escludersi la sussistenza dell'interesse ad impugnare del terzo laddove non reclami la titolarità del bene da confiscare, e ciò in quanto, in caso di accoglimento del ricorso, non potrebbe mai ottenere la restituzione del bene che ha pacificamente riconosciuto essere del proposto. A tale indirizzo si contrappone altro orientamento, assolutamente minoritario, secondo cui il terzo che rivendica l'effettiva titolarità e la proprietà dei beni oggetto di vincolo è legittimato ed ha interesse non solo a contestare la fittizietà dell'intestazione, ma anche a far valere l'insussistenza dei presupposti per l'applicazione della misura nei confronti del proposto (Cass. pen., sez. V, 14 dicembre 2017, n. 12374; nello stesso si è espressa, sia pur in relazione alla confisca ex art. 240-bis c.p., Cass. pen., sez. I, 15 dicembre 2020, n. 19094). In particolare, confrontandosi con l'opposto indirizzo ermeneutico, si afferma che la conclusione cui esso perviene risente di una considerazione ex post della sorte dei motivi di impugnazione secundum eventum litis, che, di contro, si afferma debbano essere valutati ex ante nella loro attitudine distruttiva della pretesa fatta valere, e che quindi, nel rispetto del fondamentale diritto di difesa, possono essere anche articolati su piani concorrenti e/o graduati. Si è, inoltre, affermato, quale ulteriore argomento a sostegno della maggiore ampiezza delle questioni deducibili dal terzo, che l'interposizione fittizia non configura una situazione di per sé illecita se non è preordinata al conseguimento di fini contrari alla legge, se il reale proprietario dissimulato non è un soggetto socialmente pericoloso o autore di gravi delitti e se i beni non hanno provenienza illecita, in quanto si tratta di uno schema negoziale sostanzialmente riconducibile all'istituto civilistico della simulazione del contratto. La Suprema Corte ha ribadito l'orientamento maggioritario, dovendosi escludere la sussistenza di un interesse a ricorrere del terzo qualora questo si limiti a dedurre l'insussistenza dei presupposti della misura. In tal caso, infatti, in mancanza di prova dell'effettiva titolarità del bene, dall'accoglimento del ricorso non deriverebbe alcun risultato utile per il terzo in quanto alla revoca della confisca conseguirebbe la restituzione dei beni attinti dalla misura al proposto ovvero al soggetto ritenuto effettivo titolare del bene. Il terzo intestatario del bene può, dunque, ottenere un risultato favorevole, rilevante ai fini della configurabilità del suo interesse a ricorrere, solo dimostrando che la titolarità del bene è reale e non meramente fittizia. Inoltre, come già chiarito da Cass. pen., sez. VI, 14 novembre 2023, n. 48761, anche muovendo dalla prospettiva del beneficio in fatto che, comunque, può derivare dall'accoglimento del ricorso e dalla revoca della misura di prevenzione, la legittimazione ad agire deve essere individuata in relazione alla titolarità del diritto oggetto del giudizio, non potendosi consentire una sorta di intervento ad adiuvandum del terzo in favore del destinatario della misura. Tale pronuncia, confrontandosi con l'ulteriore argomento dell'indirizzo minoritario che ha posto l'accento sulla non illiceità della interposizione fittizia e sulla sua riconducibilità alla simulazione del contratto, ha posto l'accento proprio sull'art. 1414 c.c.. Tale norma, infatti, prevede che, in caso di simulazione relativa del contratto, se le parti hanno inteso concludere un contratto diverso da quello apparente, tra le stesse ha effetto il contratto dissimulato. Ne consegue che, nei rapporti interni tra terzo simulato proprietario e reale titolare del bene, prevale, non già il dato formale insito nella fittizia intestazione, bensì il dato reale. Traslando tali concetti nell'ambito del procedimento di prevenzione, si è, pertanto, concluso che l'unico soggetto legittimato a chiedere la restituzione del bene - anche nell'ambito del rapporto interno con il fittizio intestatario - è il titolare reale dello stesso, non potendo il terzo agire in giudizio per far valere quello che è un diritto altrui.

Alla luce delle considerazioni sopra esposte, la Suprema Corte ha ribadito che in caso di confisca di prevenzione avente ad oggetto beni ritenuti fittiziamente intestati a un terzo, quest'ultimo può rivendicare esclusivamente l'effettiva titolarità e la proprietà dei beni sottoposti a vincolo.