Diritto penale
Delitti
30 | 10 | 2023
Omicidi in famiglia: incostituzionale il divieto posto dal codice rosso di diminuire la pena in presenza di circostanze attenuanti
Valerio de Gioia
Con sentenza n.
197 del 30 ottobre 2023, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’incostituzionalità
dell’art. 577, comma 3, c.p. nella parte in cui vieta al giudice di ritenere
prevalenti le circostanze attenuanti della provocazione di cui all’art. 62, comma
1, n. 2), c.p. e le circostanze attenuanti generiche di cui all’art. 62-bis c.p..
L’attuale comma 3 dell’art. 577 c.p. è stato introdotto, dalla L. n. 69 del 2019 (cosiddetto “Codice Rosso”), mirante nel suo complesso – come risulta dalla stessa denominazione ufficiale della legge – al rafforzamento della «tutela delle vittime di violenza domestica e di genere», come definite dalle pertinenti convenzioni internazionali di cui l’Italia è firmataria e il cui rispetto il legislatore si proponeva di garantire – prima fra tutte, la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (cosiddetta “Convenzione di Istanbul”), ratificata con la legge 27 giugno 2013, n. 77 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta a Istanbul l’11 maggio 2011). L’art. 3 di tale convenzione definisce, in particolare, la «violenza nei confronti delle donne» come «una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro le donne, comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica, che nella vita privata»; e identifica la «violenza domestica» in «tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’interno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti coniugi o partner, indipendentemente dal fatto che l’autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima». In coerenza con questo generale scopo di tutela, il “Codice Rosso” arricchisce ulteriormente l’arsenale di misure volte non solo ad assicurare severe sanzioni penali a carico degli autori di vittime di violenza contro le donne o di violenza familiare – in particolare attraverso l’innalzamento delle pene previste per il delitto di maltrattamenti in famiglia –, ma anche a potenziare gli strumenti idonei a consentire un’efficace e tempestiva protezione delle vittime da parte della forza pubblica: ad esempio, attraverso la possibilità di utilizzare strumenti di controllo elettronico nei confronti delle persone sottoposte alla misura cautelare del divieto di avvicinamento dei luoghi frequentati dalla persona offesa di cui all’art. 282-ter c.p.p.; la previsione, all’art. 387-bis c.p., del delitto di violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa; la subordinazione della sospensione condizionale della pena per reati in materia di violenza contro le donne o domestica alla partecipazione a specifici percorsi di recupero presso enti o associazioni che si occupano di prevenzione, assistenza psicologica e recupero di soggetti condannati per i medesimi reati (art. 165 c.p.); misure di formazione specifica per gli addetti ai lavori nella lotta contro la violenza domestica e di genere (art. 5 L. n. 69 del 2019). È evidente come il legislatore abbia inteso, in via generale, inasprire ulteriormente la risposta sanzionatoria contro gli omicidi commessi all’interno di relazioni familiari o affettive, specie a danno delle donne e comunque dei soggetti più vulnerabili all’interno di tali contesti, limitando il potere del giudice di determinare la pena per tali omicidi – punibili con l’ergastolo in assenza di circostanze attenuanti – al di sotto dei ventun anni di reclusione. Si è ipotizzato in dottrina che la selezione delle sole quattro circostanze attenuanti sottratte al divieto di bilanciamento sia dovuta al timore che il giudice possa troppo generosamente riconoscere e ritenere prevalenti altre attenuanti, e in particolare la provocazione ovvero le attenuanti generiche; e ciò specialmente in situazioni in cui l’autore dell’omicidio agisca in preda al turbamento emotivo provocato da circostanze come la gelosia nei confronti del partner, il rifiuto di accettare la conclusione di una relazione, un distorto senso di possesso nei confronti della vittima, o ancora – in particolari contesti socio-culturali – il timore del “disonore” ricadente su se stesso e sulla propria famiglia, derivante da comportamenti a suo avviso inappropriati della vittima. ul punto, occorre però rilevare che simili preoccupazioni non trovano riscontro nella giurisprudenza di legittimità, che è invece compatta nel rigettare allegazioni difensive miranti al riconoscimento della provocazione in casi come quelli ora menzionati. In queste ipotesi, infatti, si ritiene che difetti in radice un “fatto ingiusto” della vittima (Cass. pen., sez. V, sentenze 14-luglio-22 settembre 2023, n. 38755, 3 marzo-10 giugno 2021, n. 23031 e 25 settembre-13 dicembre 2017, n. 55741), o che comunque sussista una grave e macroscopica incongruenza fra il fatto scatenante e la reazione (Cass. pen., sez. V, sentenza 4 luglio-10 dicembre 2014, n. 51237). La tendenza della giurisprudenza di legittimità è, semmai, quella di riconoscere in simili ipotesi la circostanza aggravante dei futili motivi (in questo senso, Cass. pen., sez. I, sentenza 9 giugno-3 novembre 2021, n. 39323; nello stesso senso, sentenza 21 maggio-30 ottobre 2019, n. 44319). È d’altra parte da escludere che il mero dato psicologico di un forte turbamento emotivo possa essere ritenuto sufficiente a esprimere un minor contenuto di colpevolezza in capo all’autore di una simile condotta, e giustificare pertanto, di per sé, il riconoscimento delle attenuanti generiche (sul punto, Cass. pen., sez. I, sentenza 8 novembre 2019-24 gennaio 2020, n. 2962). Non l’intensità della spinta psicologica è infatti decisiva ai fini del giudizio di minore colpevolezza, ma la valutazione in termini di umana comprensibilità delle ragioni che spingono il soggetto ad agire, seppure in maniera contraria alla legge penale. Il che non potrebbe certo ipotizzarsi, alla luce dell’attuale sensibilità sociale e giuridica, in casi come quelli poc’anzi menzionati.
In assenza di ogni plausibile ratio giustificativa, ulteriore rispetto alla generica volontà di assicurare un trattamento sanzionatorio particolarmente severo per tutti i casi di omicidio commesso nell’ambito di relazioni familiari o affettive, la disposizione censurata non ha superato il vaglio di legittimità costituzionale sollecitato dai giudici a quibus.
Riferimenti Normativi: