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Diritto penale

Delitti

29 | 10 | 2023

Per la Corte Costituzionale è ragionevolmente proporzionata la pena di tre anni di reclusione per il conducente che, avendo causato lesioni gravi, si dà alla fuga

Giuseppe Molfese

Con sentenza n. 195 del 27 ottobre 2023, la Corte Costituzionale ha affermato che l’art. 590-ter c.p. punisce la condotta di fuga realizzata da un conducente responsabile di gravi lesioni personali seguite a un incidente stradale. 

La scelta legislativa si struttura secondo il modello del reato complesso (come rilevato dalla giurisprudenza in precedenza richiamata), unendo in una stessa figura criminosa più condotte già autonomamente punite. La combinazione di tali elementi comporta un trattamento sanzionatorio diverso rispetto a quello che sarebbe applicabile in base al cumulo delle figure componenti. Nella specie, la differenza si manifesta anche nella previsione di un duplice meccanismo di determinazione della pena, l’uno basato sul criterio proporzionale (che aumenta da un terzo a due terzi quelle previste dal precedente art. 590-bis), l’altro, quello censurato, che ne prescinde stabilendo la soglia minima di tre anni. Questa seconda modalità, rideterminando indefettibilmente il trattamento sanzionatorio, fa acquisire alla circostanza un significato senza dubbio peculiare, prendendo in considerazione una condotta, la fuga del conducente, che essa sanziona come di per sé connotata da un disvalore intrinseco grave, tale da meritare in ogni caso una pena minima (per un caso simile, in riferimento a «una sanzione di importo minimo», sentenza n. 212 del 2019). In tal modo il legislatore ha configurato una nuova fattispecie astratta che descrive due condotte strettamente connesse, le lesioni gravi e la fuga, la seconda delle quali, essendo dettata unicamente dall’intento del soggetto di conseguire l’impunità per il primo comportamento, è idonea a imprimere, in realtà, uno speciale disvalore all’intera vicenda. È ben vero che la misura dell’aumento, data la soglia minima di tre anni, risulta essere pari a dodici volte il minimo edittale previsto dal comma 1 dell’art. 590-bis c.p. per l’ipotesi base delle lesioni personali stradali (tre mesi di reclusione); ma non si può omettere di considerare che nella fattispecie di fuga si realizza, dal punto di vista soggettivo, un salto di qualità rispetto a quella delle lesioni. È tale considerazione a risultare dirimente nella valutazione della proporzionalità: quello di lesioni personali gravi è un reato colposo, mentre la condotta di fuga è dolosa, sicché il pur elevato iato non può ritenersi sconfinare nell’ambito della manifesta irragionevolezza. La condotta dolosa che il conducente, dandosi alla fuga, pone in essere dopo l’incidente, esprime, del resto, la cosciente determinazione di non volersi assumere la responsabilità dei propri comportamenti. L’opzione così prescelta, in un lasso di tempo di regola breve, è dunque sintomatica del carattere di fondo della condotta di fuga, che «mostra estrema determinazione nel tentativo di sottrarsi alle conseguenze della propria azione» (Cass. pen., sez. IV, 28 dicembre 2015-13 aprile 2016, n. 15322), essendo finalizzata a evitare le «proprie responsabilità» (Cass. pen., sez. IV, 3 novembre 2011-13 agosto 2012, n. 32426). Nel violare l’obbligo di fermarsi e trattenersi sul posto, espressamente previsto dal codice della strada a tutela della esigenza che vengano accertate le modalità di un incidente e identificati tutti i soggetti coinvolti, anche, peraltro, in vista del risarcimento del danno alle vittime, il conducente che fugge decide scientemente di fare prevalere su tutto la propria impunità (per una responsabilità ancora da accertare) a scapito dell’interesse immediato delle persone coinvolte nell’incidente. In questo elemento si concretizza il tratto comune, in termini di offensività, rinvenibile nel darsi alla fuga: quale che sia la circostanza (ad esempio fuggire in pieno giorno, nel centro di una città, con la quasi certezza di essere identificato, o di notte, in una strada di campagna non illuminata), in ogni caso, l’allontanarsi volontariamente dal luogo del sinistro sta a significare la prevalenza del calcolo egoistico finalizzato a evitare ogni coinvolgimento personale nell’evento accaduto. Infatti, per quanto necessariamente consapevole che la sua condotta correlata al sinistro è idonea a recare danno alle persone, chi si dà alla fuga decide di abbandonare il luogo dell’incidente, accettando di farlo, peraltro, sotto un “velo di ignoranza” quanto alle conseguenze prodotte dalla propria azione e amplificando il pericolo per l’incolumità fisica e la vita delle altre persone coinvolte. Del resto, se correttamente, da un lato, la giurisprudenza di legittimità mantiene distinti i reati di fuga, di cui al comma 6 dell’art. 189 cod. strada, e di omessa assistenza, di cui al successivo comma 7, in quanto lesivi di beni giuridici diversi, dall’altro, la stessa afferma che fra questi «ricorrono molti elementi e presupposti comuni» (Cass. pen., sez. IV, 15 gennaio-8 febbraio 2008, n. 6306; nello stesso senso, Cass. pen., sez. IV, 12 marzo-6 maggio 2019, n. 18784, e Cass. pen., sez. IV, 10 ottobre 2014-27 gennaio 2015, n. 3783).

Riferimenti Normativi:

  • Art. 590-ter c.p.