libero accesso

Diritto amministrativo

Situazioni giuridiche soggettive

28 | 02 | 2022

L’opportunità della campagna vaccinale e l’efficacia del vaccino nel prevenire la diagnosi di infezione da SarsCoV2

Valerio de Gioia

Con sentenza n. 1381 del 28 febbraio 2022, la terza sezione del Consiglio di Stato ha affrontato la questione della opportunità della campagna vaccinale e dell’efficacia del vaccino.

Gli ultimi monitoraggi dell’AIFA e dell’ISS illustrano elevata l’efficacia vaccinale nel prevenire l’ospedalizzazione, il ricovero in terapia intensiva o il decesso, anche nella fase epidemica con variante delta e omicron prevalenti e inoltre che la maggior parte dei casi di positività al virus notificati negli ultimi mesi in Italia sono stati diagnosticati in persone non vaccinate.

In particolare, il recente rapporto dell’ISS, aggiornato al 5 febbraio 2022, indica che l’efficacia del vaccino nel prevenire la diagnosi di infezione da SarsCoV2 è pari al 63% entro 90 giorni dal completamento del ciclo vaccinale, del 51% tra i 91 e 120 giorni, del 40% oltre 120 giorni dalla seconda dose e del 67% in chi ha avuto la terza dose. Ciò posto, l’argomento della scarsa incidenza della vaccinazione nel contrastare la trasmissibilità del virus - tratto dalla constatazione che i soggetti vaccinati sono in grado di infettarsi e infettare - si rivela parziale e inidoneo a scardinare la razionalità complessiva del meccanismo normativo in questione. La campagna di vaccinazione, infatti, è stata certamente concepita con l’obiettivo di conseguire una rarefazione dei contagi e della circolazione del virus, ma anche allo scopo di evitare l’ingravescenza della patologia verso forme severe che necessitano di ricovero in ospedale. È indubbio che questo secondo obiettivo viene tuttora conseguito dal sistema preventivo in atto, il quale si avvantaggia, proprio grazie alla maggiore estensione della platea dei vaccinati, di una minore pressione sulle strutture di ricovero e di terapia intensiva. Come ribadito dall’ultimo Rapporto annuale dell’AIFA sulla sicurezza dei vaccini anti-COVID-19 27/12/2020 - 26/12/2021 “il più rilevante obiettivo della vaccinazione nel contesto della pandemia COVID- 19 è ridurre l’impatto clinico dell’infezione da virus SARS-CoV-2, in particolare nelle popolazioni più vulnerabili per età e/o per la presenza di patologie concomitanti. I dati generati nel contesto di ampi studi clinici randomizzati condotti prima dell’autorizzazione indicano un’elevata efficacia e sicurezza dei vaccini attualmente in uso nel prevenire la malattia, soprattutto le forme più gravi e i decessi. Inoltre, a fronte di circa 10 miliardi di dosi somministrate globalmente, i numerosi report di efficacia sul campo, valutata negli studi su popolazione condotti dopo l’autorizzazione all’immissione in commercio, confermano queste evidenze. La drastica riduzione delle forme più gravi di malattia COVID-19 riduce la pressione sulle strutture sanitarie, oltre a prevenire la mortalità associata al nuovo coronavirus” (pag. 9). In definitiva, nessun valido argomento consente di negare che l’effetto curativo oltre che preventivo del vaccino rende quel beneficio fondamentale per la generale collettività che, ai sensi dell'art. 32 Cost., come inteso dalla Corte Costituzionale, costituisce un primo e necessario presupposto per rendere cogente un trattamento sanitario. Quanto alla posizione del personale sanitario, occorre osservare che preservare dalla malattia severa il personale medico e paramedico consente di mantenere attivo e operante l’apparato adibito a prestare le cure ai malati; e questo specifico effetto utile si rivela di particolare rilievo in una fase di crescente impegno delle strutture ospedaliere e sanitarie. Non si può distogliere l’attenzione dal considerare che scopo precipuo dell’obbligo qui in questione è stato proprio quello di preservare tutta l’area di pazienti, operatori e utenti del sistema sanitario, pubblico e privato, tendenzialmente più esposti al rischio di infezione o, comunque, meno in grado di resistere all’attacco della malattia, in quanto resi più fragili e vulnerabili da un concomitante stato di debolezza o di malattia preesistente. La previsione normativa va quindi esaminata tenendo conto del fatto che essa ha introdotto un obbligo vaccinale settoriale e non generalizzato, del tutto coerente con la tutela della salute dei pazienti e con l’affidamento che gli stessi ripongono nella somministrazione delle cure in condizioni di massima sicurezza. Il personale sanitario, proprio in ragione del contatto diretto con il paziente, è portatore di una posizione di garanzia per il bene dell’incolumità fisica dei soggetti in cura ed è proprio questa peculiare posizione giuridica a giustificare l’imposizione di un obbligo vaccinale selettivo e ad escludere che possa in ciò ravvisarsi una disparità di trattamento rispetto alla generalità dei consociati. Rispetto a questa serie di essenziali effetti virtuosi del vaccino e alla specificità delle posizioni soggettive interessate, appare non decisiva la semplice constatazione di una minore efficacia del vaccino nel contrasto alla diffusione delle nuove varianti del virus, anche perché i dati liberamente consultabili dal sito istituzionale dell’Istituto superiore di Sanità attestano che i contagi in ambito sanitario si sono drasticamente ridotti in seguito alla vaccinazione del personale sanitario. Infine, nella logica del sistema predisposto e del costante monitoraggio che lo assiste è insita l’idea che le misure oggi in atto possano subire una diversa modulazione in ragione del variabile andamento dell’epidemia: questo meccanismo di possibile futura attenuazione del dispositivo, a fronte di dati attestanti un apprezzabile e consolidato contenimento del contagio, unitamente al carattere selettivo degli obblighi vaccinali, offre ulteriore evidenza della ragionevolezza e della proporzionalità della complessiva strategia di contrasto alla diffusione della malattia.

Riferimenti Normativi:

  • Art. 32 Cost.