Diritto processuale penale
10 | 06 | 2024
Il valore probatorio delle confidenze autoaccusatorie rese dall'imputato a un testimone
Giulia Faillaci
Con sentenza n. 23293 del 10
maggio-10 giungo 2024, la quinta sezione penale della Corte di Cassazione è
intervenuta in tema di testimonianza indiretta.
Sul piano della prova testimoniale, una particolare posizione viene assegnata alla testimonianza indiretta che ricorre quando il testimone si riferisce, per la conoscenza dei fatti, ad altre persone. Il codice di rito circonda la testimonianza indiretta di alcune garanzie precauzionali sul fronte della utilizzabilità (art. 195 c.p.p.), ma non fissa una specifica regola valutativa (come ad esempio fa per la prova indiziaria o la chiamata in correità), vale quindi il principio generale del libero convincimento del giudice; tuttavia le peculiarità di questa prova impongono alcune cautele nell'apprezzamento del suo risultato probatorio (Cass. pen., sez. II, 17 gennaio 1997, n. 4976; Cass. pen., sez. II, 11 ottobre 2016, n. 46332). Il testimone indiretto riferisce il dato storico della rivelazione quale fatto primario (incontro con il dichiarante e fatto storico dell'avvenuta pronuncia, da parte di costui, di determinate asserzioni) e, quindi, sotto tale profilo egli è percettore diretto di un fatto storico, mentre ha una conoscenza mediata del contenuto della rivelazione rispetto alla cui verità non assume responsabilità. La persona che riferisce in giudizio il racconto altrui offre una attestazione non originale del fatto, con l'effetto che la valutazione delle corrispondenti dichiarazioni deve ispirarsi a criteri di particolare rigore involgenti la posizione non solo del soggetto dichiarante -in modo da tenere nel debito conto anche il pericolo di difetto di percezione, di errore nell'interpretare li percepito, di travisamento mnemonico o equivoco nella descrizione dovuto all'uso errato del mezzo espressivo - ma anche della persona di riferimento. Un vaglio penetrante è ancor più necessario nel caso in cui il testimone diretto non sia stato ascoltato (nei casi previsti dalla legge, ad esempio perché deceduto) dato che il racconto del fatto storico da provare rimane "cristallizzato" nelle parole riferite al testimone indiretto, senza possibilità di sottoporle alla verifica del contraddittorio, di chiedere spiegazioni, integrazioni, precisazioni, sicché, soprattutto in tale ambito e in relazione alla minore o maggiore forza probatoria assunta (in base alla credibilità soggettiva, all'affidabilità intrinseca e consistenza della narrazione), può essere opportuno reperire ulteriori elementi esterni di conferma, pur senza automatismi, in un'ottica prudenziale non dissimile da quella richiesta dalle Sezioni Unite (Cass. pen., sez. un., 19 luglio 2012, n. 41461) per il caso di dichiarazioni della persona offesa costituita parte civile.
Concettualmente diversa è l'ipotesi in cui il testimone riferisca,
legittimamente, confidenze ricevute da un imputato, non ostandovi il divieto di
cui all'art. 62 c.p.p., norma che, pur rubricata «divieto di testimonianza
sulle dichiarazioni dell'imputato», si riferisce alle sole dichiarazioni rese
in un contesto procedimentale. Il disposto dell'art. 195 c.p.p., rubricato
“testimonianza indiretta” non impone l'escussione della fonte diretta, che,
identificandosi con l'imputato, non può essere chiamata a rendere dichiarazioni
in grado di pregiudicare la sua posizione (Cass. pen., sez. V, 3 febbraio 2015,
n. 21562) e che, ai sensi dell'art. 494 c.p.p., ha la facoltà di rendere in
ogni stato del dibattimento le dichiarazioni che ritiene opportune,
interloquendo sulle propalazioni della fonte indiretta che la chiamino in causa
al fine di controbatterle. Le confidenze autoaccusatorie dell'imputato a un
testimone, il quale ne abbia successivamente riferito nelle proprie
dichiarazioni, hanno natura confessoria.
Occorre però anche in questo caso,
in analogia con la testimonianza de relato, sia effettuare un vaglio di
credibilità e attendibilità della deposizione testimoniale sia sottoporre le
dichiarazioni confessorie riferite dal testimone a un vaglio scrupoloso che ne
apprezzi la sincerità e la spontaneità, in modo da poter escludere costrizioni
esterne o eventuali intenti autocalunniatori (Cass. pen., sez. I, 4 giugno
2019, n. 9891).
Riferimenti Normativi: