Diritto civile
Persone e Famiglia
27 | 12 | 2023
Uniti civilmente: per le Sezioni Unite, ai fini della determinazione dell’assegno, rileva anche il periodo di convivenza di fatto che abbia preceduto la formalizzazione del rapporto
Giovanna Spirito
Con sentenza n. 35969 del 27 dicembre 2023, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affermato che, in caso di scioglimento dell'unione civile, la durata del rapporto, prevista dall'art. 5, comma 6, L. n. 898 del 1970, richiamato dall'art. 1, comma 24, L. n. 76 del 2016, quale criterio di valutazione dei presupposti necessari per il riconoscimento del diritto all'assegno in favore della parte che non disponga di mezzi adeguati e non sia in grado di procurarseli, si estende anche al periodo di convivenza di fatto che abbia preceduto la formalizzazione dell'unione, ancorché lo stesso si sia svolto in tutto o in parte in epoca anteriore all'entrata in vigore della legge n. 76 cit.. Per la Suprema Corte, l'esclusione della possibilità di prendere in considerazione, ai fini del riconoscimento e della liquidazione dell'assegno, il periodo di convivenza che ha preceduto l'entrata in vigore della legge n. 76 del 2016 comporterebbe la frustrazione delle finalità perseguite dalla medesima legge, impedendo di tenere conto delle scelte (spesso determinanti anche per il futuro) compiute dalle parti nella fase iniziale del rapporto, in cui la convivenza ha dovuto necessariamente svolgersi in via di mero fatto per causa ad esse non imputabile, essendo all'epoca preclusa alle coppie omosessuali la possibilità di contrarre un vincolo formale. In proposito, occorre tenere conto anche della genesi della disciplina delle unioni civili, collegata alla sentenza della Corte EDU 21 luglio 2015, Oliari e altri c. Italia, con cui fu accertato che lo Stato italiano aveva violato l'art. 8 della CEDU, sotto il profilo del diritto al rispetto della vita privata e familiare, per non avere ancora provveduto all'emanazione di una normativa diretta ad attribuire un riconoscimento giuridico alle coppie omosessuali attraverso la previsione di forme di unione civile o di unione registrata. Richiamata la propria giurisprudenza, secondo cui le coppie omosessuali hanno la stessa capacità d'instaurare una relazione stabile di quelle eterosessuali e si trovano in una situazione simile per quanto riguarda l'esigenza di riconoscimento giuridico e tutela della loro relazione, la Corte osservò che l'impossibilità di accedere ad un quadro giuridico come quello delle unioni civili o delle unioni registrate impediva alle stesse di ottenere il riconoscimento del loro status e la tutela di alcuni diritti, ritenendo insufficiente, a tal fine, la mera possibilità di disciplinare alcuni aspetti della convivenza mediante accordi contrattuali privati; pur riconoscendo che, in assenza di un accordo tra gli Stati membri, il legislatore nazionale gode di un certo margine di discrezionalità nella determinazione dell'esatto status conferito da mezzi di riconoscimento alternativi e dei diritti e gli obblighi che ne scaturiscono, ritenne che il Governo italiano avesse ecceduto tale margine, non avendo tenuto conto della diffusa accettazione delle coppie omosessuali da parte della popolazione italiana e delle sollecitazioni al riconoscimento delle stesse provenienti dalle supreme autorità giudiziarie interne, e non avendo dedotto l'esistenza di un interesse collettivo prevalente rispetto a quello dei ricorrenti. Tali principi hanno trovato conferma nella successiva sentenza del 14 dicembre 2017, Orlandi e altri c. Italia, con cui, a seguito dell'entrata in vigore della legge n. 76 del 2016, la Corte EDU ha dichiarato che lo Stato italiano aveva violato l'art. 8 della CEDU, sotto il profilo del rispetto del diritto alla vita familiare, per aver rifiutato, nel periodo anteriore all'entrata in vigore della disciplina delle unioni civili, la trascrizione del vincolo coniugale contratto all'estero da coppie omosessuali, anche in forma diversa dal matrimonio: premesso che la nuova disciplina, consentendo alle persone che abbiano contratto matrimonio, unione civile o altra corrispondente unione all'estero di ottenere la trascrizione del vincolo in Italia, sembra offrire più o meno la stessa tutela del matrimonio in ordine alle esigenze fondamentali di una coppia che ha una relazione stabile e seria, la Corte ha ritenuto che il rifiuto di trascrivere il matrimonio sotto qualsiasi forma avesse lasciato i ricorrenti in una situazione di vuoto giuridico, impedendo agli stessi di ottenere il riconoscimento formale dell'esistenza giuridica della loro unione ed ostacolandoli nella vita quotidiana, senza che a giustificazione di tale situazione fosse stata addotta la sussistenza di interessi collettivi prevalenti. Le considerazioni svolte a sostegno delle predette decisioni trovano peraltro ampio riscontro nella giurisprudenza precedente e successiva della Corte EDU, la quale, dopo aver affermato che la nozione di «famiglia» di cui all'art. 8 della CEDU non è limitata alle sole relazioni fondate sul matrimonio, ma si estende anche ai legami familiari di fatto, in cui le parti convivono al di fuori del matrimonio (ovvero senza essere coniugate) (cfr. sent. 18/12/1986, Johnston e altri c. Irlanda; 3/04/2012, Van der Heijden c. Paesi Bassi), ha chiarito che in tale nozione deve ritenersi compresa anche una coppia omosessuale che vive una relazione stabile (cfr. sent. 7/11/2013, Vallianatos e altri c. Grecia; 19/02/2013, X e altri c. Austria; 24/06/2010, Schalk e Kopf c. Austria), la quale si trova in una situazione sostanzialmente analoga a quella di una coppia eterosessuale, per quanto riguarda la necessità di un riconoscimento formale e di una tutela della relazione (cfr. sent. 13/07/2021, Fedotova e altri c. Russia); precisato inoltre che gli Stati membri hanno l'obbligo positivo di garantire il rispetto dei diritti previsti dall'art. 8, anche nei rapporti tra privati (cfr. sent. 5/09/2017, Bărbulescu c. Romania), è stata riconosciuta agli stessi, ai sensi dell'art. 14 della CEDU, in combinato disposto con l'art. 8, la facoltà di limitare l'accesso al matrimonio alle sole coppie eterosessuali (cfr. 24/06/2010, Schalk e Kopf c. Austria; 9/06/2016, Chapin e Charpentier c. Francia), affermandosi tuttavia che l’intenzione di creare una vita familiare può, in casi eccezionali, rientrare nell’ambito della tutela assicurata dall’art. 8, specialmente nel caso in cui il fatto che la vita familiare non sia ancora pienamente instaurata non sia imputabile al ricorrente (cfr. sent. 22/06/ 2004, Pini e altri c. Romania; 30/07/2016, Taddeucci e McCall c. Italia). Nella prospettiva emergente dalle predette pronunce, improntata all'osservanza degli obblighi positivi che scaturiscono dal rispetto del diritto alla vita familiare, negare rilevanza alla convivenza di fatto tra persone del medesimo sesso, successivamente sfociata nella costituzione di un'unione civile, per il solo fatto che la relazione ha avuto inizio in epoca anteriore all'entrata in vigore della L. n. 76 del 2016, si tradurrebbe inevitabilmente in una violazione dell'art. 8 della CEDU, oltre che in un'ingiustificata discriminazione a danno delle coppie omosessuali, il cui proposito di contrarre un vincolo formale non ha potuto concretizzarsi se non a seguito dell'introduzione della disciplina delle unioni civili, a causa della precedente mancanza di un quadro giuridico idoneo ad assicurare il riconoscimento del relativo status e dei diritti ad esso collegati.
Riferimenti Normativi: